LAST FLAG

lo shooter firmato Imagine Dragons

Appena annunciato durante la Summer Game Fest, Last Flag è il titolo d’esordio di Night Street Games, studio di sviluppo fondato dai fratelli Dan e Mac Reynolds, rispettivamente leader e manager della band Imagine Dragons. Qualche mese fa, ho incontrato Mac alla Game Developers Conference e mi ha raccontato che lui e suo fratello sono cresciuti appiccicati ai videogiochi, con particolare affetto nei confronti delle avventure grafiche Sierra, Lucas e Delphine. Mac non lo sapeva, ma non credo fosse possibile menzionare tre sviluppatori più adatti a farmi sentire subito sulla stessa lunghezza d’onda. “Fin da ragazzini abbiamo sempre desiderato creare videogiochi,” ha aggiunto Mac, “e tra l’altro pochi lo sanno ma Dan è anche un discreto programmatore.” La vita ha portato i due altrove, a creare una band pop rock da 75 milioni di dischi venduti, ma la passione per i videogiochi è rimasta e due anni fa hanno deciso di provarci: “Immaginavamo che avremmo incontrato scetticismo, quindi abbiamo deciso di partire in piccolo e lasciar parlare i fatti.” Hanno messo assieme un prototipo e, di fronte a un riscontro positivo, hanno assemblato uno studio, a oggi composto da una cinquantina di persone, partendo anche dal vantaggio di poter sfruttare i contatti accumulati nel corso degli anni prestando (si fa per dire) la loro musica a publisher come Bethesda, Nintendo e Riot.  

E lo studio è un bel coacervo di veterani del settore che si sono messi assieme per provare a creare qualcosa di nuovo e personale. Alla GDC, assieme a Mac Reynolds, ho incontrato anche il game director Matthew Berger, che nei suoi quasi trent’anni di esperienza può vantare di un lungo periodo in Relic Entertainment a occuparsi di Company of Heroes e vari giochi di Warhammer, ma anche un decennio pieno trascorso su vari episodi di Diablo presso Blizzard. E con lui c’era il produttore esecutivo Jonathan Jelinek, che fra le sue esperienze lavorative ha lunghi periodi su World of Warcraft e Wildstar. I tre, insieme, mi hanno appunto mostrato e raccontato Last Flag, un gioco incentrato sul concetto di cattura la bandiera, che prima ancora di essere una modalità classica e divertentissima degli FPS online, era un qualcosa a cui Mac giocava nei boschi da ragazzino. Da lì l’idea di un gioco pensato per ruotare attorno al concetto di introdursi di nascosto in territorio nemico per recuperare un obiettivo.

Attorno a questa idea, hanno costruito uno sparatutto a squadre, 5 contro 5, incentrato interamente sul cattura la bandiera, quindi con meccaniche, level design, eroi e relative abilità pensati per prestarsi a quel tipo di dinamiche. L’immaginario ideato è un tripudio psichedelico anni Settanta, che si allinea con l’approccio coloratissimo che caratterizza gli shooter online post-Fortnite ma mi ha ricordato molto anche lo stile dei giochi Arkane, e in particolare di Deathloop. Le battaglie avvengono nel contesto di una specie di show televisivo e i vari personaggi pasturano brutalmente nell’immaginario da Seventies più esagerato e sopra le righe possibile, tanto in termini di caratterizzazione estetica quanto di ideazione delle armi. C’è per esempio Julius, un motociclista cacciatore di taglie che se ne va in giro con due fucili a pompa e li utilizza non solo come armi ma anche come strumento per gli spostamenti in stile rocket jump. Ma Julius può anche scagliare in giro delle granate a ricerca, ha l’abilità di lanciare una prigione, una specie di grossa scatola metallica che intrappola gli avversari e, come mossa finale, può sfoderare un’enorme minigun  assemblata utilizzando parti di motociclette. 

Ovviamente, tutti hanno a disposizione armi altrettanto surreali e un aspetto interessante sta nel fatto che le abilità dei vari personaggi possono essere combinate fra di loro. Per esempio, il soldato Alejandro ha delle bolas elettrificate che stordiscono il bersaglio con una scossa ma che, se lanciate addosso alla gabbia di Julius, la elettrificano, generando danni nei confronti di chi è imprigionato. E ancora, Camila può scatenare dei tornado che sollevano gli avversari e li lanciano in giro, ma la sua arma principale emette acido, che può sparare nei tornado per renderli più dannosi. C’è insomma un grosso lavoro per creare un sistema di armi e abilità che, oltre a distinguere i vari personaggi utilizzabili, riescano anche a parlarsi fra di loro.

Ma come è strutturata una partita? Tipicamente, stiamo parlando di match fra gli 8 e i 15 minuti, massimo 20. In avvio, le squadre si trovano nella zona di respawn, che poi è parte dello studio televisivo che trasmette la competizione, e si possono vedere fra di loro, seppur separate da una grossa parete di vetro. C’è una prima fase in cui la mappa è divisa in due da un enorme sipario e bisogna nascondere la propria bandiera, posizionandola in maniera totalmente libera, nel territorio della propria squadra. Ovviamente le mappe sono disegnate in modo da contenere tonnellate di possibili nascondigli naturali e parte del divertimento è studiare modi sempre diversi per occultarla. Dopodiché cominciano battaglia e ricerca. L’obiettivo è di trovare la bandiera degli avversari, portarla nella propria base e difenderla per 60 secondi. Per aiutare nella ricerca, ci si può appoggiare su tre torri poste al centro della mappa, che è possibile conquistare stando in zona fino al riempimento di un indicatore, un po’ come nelle classiche modalità Dominio da FPS. Quando una torre “appartiene” alla propria squadra, ogni 30 secondi una sezione della mappa (divisa in quadrati) viene oscurata, a indicare che la bandiera avversaria non si trova lì. Inoltre, quando un giocatore passa vicino alla bandiera, viene riprodotta una musichetta apposita che ha sostanzialmente la funzione del “fuoco… fuoco… fuochino….” 

A tutto questo si aggiunge un semplice sistema economico, con denaro che è possibile recuperare in giro per spenderlo nel potenziamento delle abilità. Abilità che, come accennavo sopra, sono piuttosto variegate, favoriscono la collaborazione e soprattutto sono anche pensate con l’idea di creare un gioco in cui pure chi non è un cecchino infallibile possa avere modo di dire la sua, fra armi corpo a corpo, attacchi ad ampio raggio e via dicendo. Poi, certo, Last Flag è e rimane uno sparatutto in terza persona, quindi l’abilità nella gestione del mirino avrà una sua grossa importanza. Ma, per esempio, anche un giocatore molto bravo a muoversi in maniera stealth e andare di nascosto alla ricerca della bandiera può rivelarsi fondamentale

Nelle settimane successive all’incontro alla GDC, ho avuto modo di provare brevemente il gioco in una sessione multiplayer e pasticciando un po’ con partite popolate dai bot. E, pur nei limiti di un’esperienza ancora molto acerba, posso dire di essermi divertito parecchio, grazie alla buona varietà dei personaggi e al design curatissimo delle mappe, davvero piene di nascondigli, strutture, falsi indizi che rendono la ricerca della bandiera divertentissima. Inoltre, mi sento di confermare un punto su cui il team ha insistito molto durante la nostra chiacchierata, ovvero la gestione del ritmo. Le due mappe messe a disposizione avevano le dimensioni giuste per tenere sempre sulle spine e non rendere tediosa la ricerca (diciamo che a grandi linee serve un minuto per correre da un lato all’altro indisturbati). Delle due, una proponeva spazi piuttosto aperti, mentre l’altra si focalizzava su un gran numero di edifici sparsi attorno al punto di respawn. E tra l’altro al momento stanno lavorando su una terza mappa che mi hanno detto essere ancora più piccola e popolata di jump pad. È chiaro che, essendo il cuore del gioco incentrato su una modalità così specifica, la capacità di rendere l’esperienza fresca e variegata tramite il design delle mappe sarà fondamentale, e quel che ho visto mi sembra promettente.  

Tra l’altro, per tornare al discorso sulla durata “giusta” di una partita e sulla gestione del ritmo, è evidente il desiderio di evitare a tutti i costi il rischio che un match si protragga troppo a lungo. La durata fra gli 8 e i 20 i minuti indicata sopra non è casuale: secondo il team, la partita perfetta dura attorno ai 15 minuti ed è per questo che, trascorso quel tempo, vengono avviati i tempi supplementari. In questa fase, entrambe le bandiere vengono indicate sulla mappa e, quando si riesce a portare la bandiera avversaria nella propria base, si vince immediatamente, senza doverla difendere per 60 secondi. In pratica si attiva la sudden death. Dopodiché, se si raggiungono i 20 minuti, la partita si conclude e la squadra vincente viene determinata sulla base di punti assegnati alle varie azioni compiute durante il match.

In generale, ho trovato l’esperienza di gioco con Last Flag molto gradevole. I personaggi sono ben diversificati e forzano verso approcci abbastanza vari, perché a seconda dei casi ci si può ritrovare a utilizzare shotgun, asce, arco e frecce, il menzionato fucile spara-acido e così via. Le armi secondarie hanno un bel taglio, molto legato alla dinamica del cattura la bandiera, soprattutto perché sono quasi sempre pensate non tanto come armi di distruzione ma piuttosto come modi per rallentare, confondere, indebolire gli avversari. E in generale ho trovato molto buono e ricco il design delle mappe. Dopodiché è chiaro che non posso farmi un’idea più concreta di così semplicemente facendo un paio di partite online e affrontando i bot, bisognerà mettere il gioco alla prova quando verrà aperto a un pubblico più ampio. Ma mi sento di poter dire che Last Flag ha personalità, idee e, nonostante l’estetica forse un po’ risaputa, un taglio tutto sommato moderatamente fresco, perlomeno in certi aspetti. In un genere così affollato, potrebbe non essere abbastanza ma certamente non è poco.

Pubblicato il: 20/06/2025

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