LIKE A DRAGON

GAIDEN

THE MAN WHO ERASED HIS NAME

È difficile dire - ad oggi - cosa sia stata e cosa ancora rappresenta la serie di Like A Dragon. In superficie è chiaramente un beat ‘em up 3D open map estremamente giapponese, ma l’errore di declassarlo quasi a clone orientale di Gran Theft Auto l’abbiamo già fatto in passato e sarebbe bene non ripeterlo. Like a Dragon è tante cose tutte assieme: è l’erede spirituale di quello Shenmue che contribuì a tracciare una volta per tutte la strada del videogioco moderno, è un’operazione di tutela e celebrazione del passato videoludico di Sega grazie all’enorme numero di classici dell’azienda emulati nelle sale giochi di Kamurocho, una saga emotivamente assurda, una profonda riflessione del Giappone degli ultimi quarant’anni e anche un mostro cangiante che si è sempre rifiutato categoricamente di mostrarsi uguale a sé stesso per due capitoli di fila. Se però dovessi scegliere una e una definizione soltato per Like A Dragon non avrei dubbi: è una serie che ha sempre fatto tantissimo con poco, e credo che questa sia la chiave corretta per guardare Like a Dragon Gaiden - The Man Who Erased His Name

Perché in un mondo in cui tutte le grandi produzioni si sperticavano nel presentare al pubblico mappe sempre più grandi e sempre più dense di contenuti secondari sparpagliati ovunque, Like A Dragon ha sempre marciato in direzione ostinata e contraria, rifugiandosi tra le mura di pochi e iconici quartieri notturni del Giappone moderno; mentre gli altri cercavano la seriosità a tutti i costi Like A Dragon sperimentava mille e più modi per prendersi in giro da solo; dove tutti cercavano la coccola della ripetizione e dei punti fermi Like A Dragon ha cambiato combat system e genere per spingersi oltre. C’è un motivo se la considero la mia saga videoludica contemporanea preferita, dopotutto. Tra le limitazioni tecniche, l’ostinazione nel voler mantenere la propria dimensione “domestica” e la difficoltà di emergere in un mercato saturo Ryu Ga Gotoku Studio ha sempre dovuto cavare sangue dalle rape, spremendo valanghe di contenuti dalle poche risorse a disposizione, riuscendoci quasi sempre in maniera sopraffina. Like a Dragon Gaiden è un’estremizzazione del concetto, perché al di là dell’essere un ritorno alle origini ludiche della saga è anche un capitolo canonico in miniatura, e tirar fuori un’esperienza completa e appagante poteva rivelarsi una sfida non da poco, soprattutto ora che il team è orfano di chi Like A Dragon l’ha inventato e l’ha cresciuto per un numero impressionante di capitoli.

Like A Dragon Gaiden è un capitolo più ristretto nei contenuti, ma occhio a definirlo un capitolo minore: vi sbagliereste alla grande. Gaiden è un “midquel”, un punto di raccordo per una saga che negli anni ha esteso i suoi tentacoli in un po’ tutte le direzioni possibili, ed è un passaggio fondamentale per ricollegare il finale (perfetto) di Yakuza 6, gli avvenimenti di Yakuza Like a Dragon e i prossimi sviluppi di Like A Dragon 8. Chiunque mi abbia sentito parlare della serie sa quanto abbia amato la conclusione dell’arco narrativo di Kiryu e quanto fossi contrariato dalla scelta di RGG Studio e Sega di ritirare in ballo il drago di Dojima proprio ora che Ichiban si stava ritagliando uno spazio nel cuore dei fan, anche perché il nuovo corso sembrava rappresentare anche un accesso alla saga per tutti quei ritardatari che non avevano modo e tempo di recuperare i sette capitoli che hanno preceduto Yakuza Like A Dragon. Beh, tanto vale dirlo subito chiaramente: Ryu Ga Gotoku Studio ce l’ha fatta di nuovo e ha provato che mi sbagliavo. 

La chiave di Gaiden è la rabbia, sentimento spesso ben rappresentato all’interno della serie (pensate a Nishikiyama o Ryuji Goda) ma che non era mai stato rappresentato in maniera così chiara e “pura”. Sto parlando, ovviamente, della rabbia di Kiryu, che dopo aver rinunciato a tutto - compreso il proprio nome - per amore dei propri cari è costretto a vivere nell’ombra da servo del gruppo Daidoji, un’organizzazione-ombra che controlla in gran segreto l’economia, la politica e la società del Giappone. Un tempo leggenda delle strade, oggi Kiryu vive all’ombra dei Daidoji e li serve come agente segreto in cambio di vitto, alloggio, discrezione e protezione. Ciò che il drago di Dojima non immaginava, probabilmente, è che rinunciando al proprio nome e alla propria vita ha rinunciato anche alla propria libertà, e ora schiuma di rabbia perché sta vivendo come un drago in catene, privato del rispetto e della dignità. Questo è contemporaneamente l’antefatto narrativo e il motore stesso della narrativa e del gameplay di Like A Dragon Gaiden, che infatti incorpora al proprio interno un nuovo combat system bipartito, che da un lato mette in mostra uno stile veloce e raffinato ibridato con degli accessori da spia “bondiana”, mentre dall’altro riporta sul palcoscenico lo stile da picchiatore di strada di Kiryu che lo ha reso una leggenda in tutto il paese.

Gaiden vive quindi di questo dualismo; racconta la messinscena che Kiryu - che ora si fa chiamare Joryu - è costretto ad interpretare per proteggere Daigo, Haruka e il Morning Glory ma sottolinea con forza quei momenti in cui questa facciata viene fatta traballare dall’ira del drago di Dojima che sembra poter esplodere da un momento all’altro. Il tema del dualismo e dei contrasti è, a conti fatti, uno dei temi portanti di tutta la serie, capace come probabilmente nessun’altra al mondo di alternare momenti di grande serietà e profondità ad una quantità di esagerazioni e nosense, e in Gaiden torna a farsi sentire con prepotenza. Non mi ero mai davvero reso conto di quanto mi mancasse, anche perché RGG Studio ha comunque accompagnato i fan con tanti spin off di buona caratura negli ultimi anni (si pensi a Lost Judgment, a Kaito Files e al remake di Ishin), però tornare a impersonare Kiryu è stato un po’ come tornare a casa dopo un lungo viaggio. È bastato pochissimo per far sì che si riattivasse la memoria muscolare e per riambientarsi a Sotenbori. Difficile esprimere a parole la sensazione - ci ho provato nella monografia che ho dedicato a Yakuza - , ma l’intimità che si è creata nel corso degli anni con i quartieri di Like A Dragon è una sensazione davvero unica per quanto riguarda il mio rapporto con i videogiochi in generale, e Gaiden non è stato da meno in questo senso. 

Potrei parlare di tante cose, ma in realtà credo basti menzionare il fatto che The Man Who Erased His Name ha ripreso tutte le dinamiche della serie principale e le ha compresse all’interno di questa nuova confezione più contenuta. Il combat system è forse il migliore che si sia mai visto nelle incarnazioni action della serie per fluidità e dinamismo (anche se ammetto che i gadget spionistici li ho sfruttati molto meno di quanto pensassi), sono tornati minigiochi leggendari come le Pocket Circuit Racer e la follia tipica delle missioni secondarie, qui presenti in numero leggermente ristretto ma sempre caratterizzate dalla solita struttura narrativa e di gameplay fuori dal comune. C’è addirittura un nuovo modo di interagire con gli hostess club, qui rappresentati da delle esilaranti ed assurde sezioni in cui il gioco si trasforma in un vero e proprio Full Motion Video con attrici in carne ed ossa a fare da compagne di chiacchiere e bevute. A questo si aggiunge inoltre una nuova area, già presentata nelle demo pubbliche di qualche tempo fa, che racchiude in sé l’anima sopra le righe di tutta la serie. Il Castello è infatti una riproduzione della castello di Osaka a bordo di una nave cargo, una sorta di quartiere a luci rosse segreto ormeggiato a qualche kilometro dalla costa e pensato per essere un parco giochi per ricchi vogliosi di lasciarsi andare alle proprie pulsioni più animalesche. Così come è stato in passato per il Purgatorio del Fiorista di Sai, il Castello è la creazione di un team che non ha mai smesso di guardare il Giappone e i suoi abitanti con un occhio particolarmente critico e spietato.

C’è però anche un anima buona in Gaiden, che come il resto della serie prosegue su una strada che si allontana dal solo mondo della malavita organizzata e sta guardando alla società stessa del paese. Sotenbori è infatti meno casa dei clan mafiosi e più legata alla gente comune e ai suoi problemi. O, meglio, lo è sempre stata, ma qui la prospettiva è più ampia e permette di osservare in maniera differente il contesto di Osaka. Joryu si mette infatti in affari con Akame, una giovanissima tuttofare che sta a capo di una fitta e profonda rete di informatori e di aiuto che gestisce da dietro le quinte tanti problemi del quartiere. Akame non lo fa in maniera disinteressata, questo mai, ma è diventata la paladina degli ultimi, l’amica degli oppressi dalle gang e dalla yakuza e la salvezza dell’esercito di senzatetto che vivono all’ombra dei luccicanti palazzoni che si affacciano sulle sponde del fiume. Un personaggio giovane ed esremamente positivo che rappresenta l’alternativa alla sofferenza dei più poveri. Le ho voluto bene, quasi quanto ho voluto bene ad Akiyama in passato (e, Sega, non hai idea di quanto mi renderebbe felice un capitolo dedicato a lui). 

Insomma, se siete fan della serie non potete soprasedere su Gaiden, anche perché è stata Sega stessa a dichiarare che sarà l’ultimo capitolo action dedicato a Kiryu Kazuma. Al netto di una durata sicuramente più contenuta (ma le venti ore si passano senza problemi anche senza cercare il completismo) non c’è nulla che lo inquadri come capitolo minore o come semplice tappabuchi. Narrativamente è fondamentale per collegare tra loro le saghe di Kiryu e di Ichiban, ludicamente non manca nulla rispetto al passato e lato gameplay siamo, come già detto, al cospetto di un combat system incredibilmente appagante, che peraltro ha anche aggiunto l’inedita possibilità di fare juggling con i nemici scaraventati a mezz’aria. L’unica cosa che mi sento di criticare è forse la presenza di qualche momento riempitivo di troppo nella main quest e una presenza a volte un po’ troppo massiccia di malintenzionati vogliosi di fare a botte quando si è in giro per le strade. Sono chiaramente delle trovate un po’ semplici per diluire i tempi di gioco, ma questo non riesce comunque a rovinare i ritmi dell’opera. Like A Dragon Gaiden è un gioco completo, quadrato e decisamente riuscito, e non era scontato che sarebbe stato così visto che è nato originariamente come DLC ed è diventato un capitolo autonomo solamente in un secondo momento.

L’unico problema al momento è che RGG Studio e Sega hanno mancato di capitalizzare sull’enorme mole di pubblico che si è avvicinata alla serie solamente in tempi recenti, sbattendo la porta in faccia a chiunque volesse una porta d’accesso sulla serie che non obbligasse a dover partire dall’inizio per godersi le sue trovate e la sua progressione, posizione peraltro “aggravata” dalla scelta di collegare Like A Dragon 8 Infinite Wealth al passato della serie proprio quando sembrava che Like A Dragon 7 potesse stare in piedi sulle sue gambe senza bisogno di conoscere tutto ciò che è venuto prima. Questo rende The Man Who Erased His Name un capitolo sconsigliatissimo ai novizi proprio in virtù della sua natura di snodo narrativo dell’intera continuity. C’è solo un consiglio che posso dare ai curiosi da fan attempato della saga: prendetevi il vostro tempo ed entrateci in contatto con calma e senza strafare, in cambio otterrete una serie unica nel suo genere, capace come pochissime altre di mantenere alta la qualità in praticamente ognuna delle sue iterazioni. E quando arriverà il momento concedetevi del tempo in compagnia di Like A Dragon Gaiden, perché nonostante le dimensioni più contenute è uno splendido ritorno al passato che riesce comunque a non trasformarsi in un’operazione nostalgia per il pubblico affamato di fanservice. Ecco, forse questo è l’aspetto più importante: Like A Dragon Gaiden, lo abbiamo già detto, non è un capitolo minore ma la massima espressione di fare tanto con poco di cui parlavo all’inizio, ma è soprattutto un videogioco che esiste perché ha qualcosa da dire. Dopotutto Like A Dragon ci ha insegnato nel tempo che anche il superfluo non è superfluo al suo interno, che tutto ciò che RGG Studio inserisce nelle sue creazioni ha senso di esistere anche quando sembra essere semplicemente una simpatica deviazione dal percorso principale. Like A Dragon Gaiden è esattamente così, e non potrei esserne più contento.

Credetemi se vi dico che il finale di Gaiden è la cosa che più si avvicina al concetto di epica moderna che riesca ad immaginare. Certo, l'elemento fanservice c'è, però non è spicciolo o gratuito, quanto più una celebrazione di diciott'anni di storia di un brand che, piaccia o meno, un pezzettino di storia del medium l'ha scritta. Non pensiate, tra l'altro, che sia una celebrazione fine a sé stessa: Gaiden è la preparazione alla chiusura definitva del cerchio, e questo lo carica di un peso emotivo enorme. È il solito discorso per cui nessuno si aspettava di trovarsi a piangere lacrime virili di fronte ad una serie che parla di omaccioni arrabbiati che fanno a botte sul tetto dei grattacieli, eppure è successo in passato ed è successo ancora. I draghi possono arrabbiarsi, possono amare e possono piangere. Chi lo sa, forse i draghi possono anche morire a un certo punto. Credo che alla fine Like A Dragon volesse in qualche modo insegnarmi questo.

Pubblicato il: 16/11/2023

Provato su: PlayStation 5

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6 commenti

A Sorichè, tocca fare un recap della storia per poterci godere tutti assieme Like a Dragon 8.

un po' alla cod da dlc a spinn of

Solita grande rece Sor Ichetti, si respira amore per il videoludo!
Una domanda: visto che hai citato Shenmue, magari un giorno ci scriverai un articoletto dei tuoi per spiegare ai nabbi come me che all'epoca e per tanti anni hanno giocato solo ai Po …Altro...
Solita grande rece Sor Ichetti, si respira amore per il videoludo!
Una domanda: visto che hai citato Shenmue, magari un giorno ci scriverai un articoletto dei tuoi per spiegare ai nabbi come me che all'epoca e per tanti anni hanno giocato solo ai Pokémon perché Shenmue è così fondamentale per la storia dell'industry? Grazie :)

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