LA NARRAZIONE AMBIENTALE IN ECCO THE DOLPHIN

Liberate Zio ED

Ho sempre fatto senza. 

Non so neanche cosa voglia dire fidarsi di qualcuno in questo oceano che chiamano vita. Il mio mare è una stanza buia mentre là fuori già brucia la primavera che si fa estate. Ho dodici anni. Mi ripetono da quando sono nato che mi devo comportare da grande. 
Ma io so da sempre fare senza. 

Senza voce. Senza amici. Senza mamma. 

In queste acque so perdermi e non pensare, so far rimbalzare il mio sonar nei gradienti, correggere griglie su griglie di tile, so punteggiare col dither questa piatta esistenza da hikikomori dell’Atlantico e, d’improvviso, salto e ritrovo ancora il mio riflesso frantumato nei barbagli di luce che radono a filo il confine tra acqua e cielo.

Una linea divide due parole opposte e in fondo simili nel suono e nei colori, Oceano e Cielo. Due linee perpendicolari, l’orizzonte e il balzo alto di un delfino, suggeriscono due vettori di ricerca opposti e in fondo simili nel suono e nei colori: il tema del viaggio orizzontale sulla strada, da una costa all’altra, percorso e ripercorso dalla letteratura americana e il tema verticale dell’introspezione e del dialogo con la coscienza sondato e risondato dalla tradizione europea.

Esattamente come il mio padre adottivo, Ed Annunziata, Zio ED, vive e lavora da sempre negli Stati Uniti ma ha nel nome origini europee. 
A metà strada cosa c’è? C’è l’oceano, amico mio, la nostra casa. La nostra ossessione. 
Più giù. Più giù. Guardami scendere dove il celeste è solo un’eco stupido dell’infanzia. 

Io sono grande. 
Io so fare senza. 

Che l’azzurro sia divorato dal blu; che il blu sia corrotto senza chiaroscuro fino quasi al nero; che la testa resista in apnea a questo stupido cuore che meccanicamente dà e prende, sistole e diastole, raster dopo raster, all’ennesima partita, all’ennesima richiesta d’aiuto.

Qui giù qualcosa vive, qualcosa di saggio e antico che aspetta me. No, aspetta noi amico mio che vivi dall’altra parte di quel vetro e non capisci ancora quanto la mia e la tua vita siano così opposte e in fondo simili nel suono e nei colori. Così sole. Senza sole. In Ecco The Dolphin non è mai raffigurato il sole. 

Ognuno nel suo oceano. Piccole mani sbucciate impugnano il controller, ma sanno fare senza? Dove sono i tuoi? Capisco, dai non pensarci, vieni con me, nuotiamo un po’ insieme a chi arriva prima. Rimaniamo a riva, saltiamo a pelo d’acqua senza mai guardare il cielo. T’insegnerò a fare senza. Parola.

Non ho mai finito Ecco. Ho pensato che scrivere questo pezzo potesse essere una buona occasione per farlo. Sai com’è, oggi alla fine basta un cheat, un save, uno stupido rewind o nel peggiore dei casi “lo giochi su Youtube”.

Ma non ha alcun senso completare Ecco the Dolphin, guarda caso gioco estremamente difficile. La sua funzione dominante non si esaurisce nella bieca trama, che, per via di una struttura non lineare dei livelli, presenta un intreccio con numerose elisioni rispetto alla ricca fabula che, nella sua interezza, conta invece 27 livelli, curatissimi nei background e nella rappresentazione realistica e simbolica della fauna marina. Personalmente non ne ho mai visti più di 22. Ecco è il gioco più lontano dallo stato attuale della fruizione videoludica. Divorarlo in una fame cieca da verme solitario soltanto per il gusto di aggiungerlo a una lunga lista di medaglie “di platino”, significa non aver capito cosa sia una narrazione ambientale e di come vada invece letta per poter essere apprezzata. 

Completare Ecco dritto per dritto, magari con una guida in mano, è come finire Out Run una sola volta: è più ciò che vi siete persi a ogni svincolo rispetto a ciò che vi è rimasto negli occhi; con per di più la grande differenza che Out Run corre su un binario e dura quanto un fumetto, Ecco invece si declina costantemente in aree aperte, il più delle volte labirintiche, senza mappe, abitate da predatori tanto pericolosi quanto eleganti ed ha la struttura, il respiro e la voce di un poema mitologico. Vi basta sfogliare il libretto d’istruzioni per rendervi conto da soli del lavoro eziologico e scientifico sugli oceani e i delfini compiuto da Annunziata. Vi dico solo che è presente addirittura una bibliografia.

Nel ’92 Zio ED aveva un intento chiaro e ambizioso: raccontare l’oceano presente, passato e futuro attraverso gli stringati limiti di una palette a 512 colori e di un processore a 16 bit. Ebbe così inizio, anche all’interno dei videogiochi, la sperimentazione di una narrazione ambientale che ha oggi una cospicua tradizione fatta anche di sottogeneri contemporanei al limite del videogioco: Flight Simulator

Sì, ho appena accostato Ecco The Dolphin a Flight Simulator. Fatevene una ragione. 

“Più profondo del mare solo il cielo”. 

Il motivo principale, che mi ha portato di nuovo ad aprire Ecco e a scrivere questa breve analisi, è stato l’improvvisa apparizione di questo sito. Lo so, vi siete persi nella musica e nelle bollicine, ma guardate bene in basso a sinistra, un piccolo countdown indica 7800 ore. Vi risparmio il calcolo, 320 giorni circa. 

In un’intervista esclusiva per Xbox Wire Ed Annunziata ha svelato di essere a lavoro, insieme a SEGA e all’intero team originale che ha creato i primi due giochi per Mega Drive, a una remastered e a un nuovo capitolo della serie. 

“Me and the entire original team are going to Remaster the original Ecco the Dolphin and Tides of Time games. Then we will make a new, third game with contemporary play and GPU sensibilities.” 

Mi auguro che Zio ED goda della stessa indipendenza creativa di un Jordan Mechner a metà anni ’80 o un Kojima nel 2025. Tuttavia, come detto in precedenza, non c’è gioco più lontano di Ecco dall’ingordigia contemporanea fatta di completismo digitale e fomo da “io ne so di più perché ne ho mangiati di più”. Ma che senso ha se non mastichi? Liberate zio ED da questo rischio. Scriviamo e chiacchieriamo di Ecco senza dimenticarci le dichiarazioni e gli intenti di questo genere videoludico.

“Volevo solo creare giochi che suscitassero curiosità e rispetto per l’oceano”. Questa è la funzione dominante di Ecco, una narrazione ambientale attenta costantemente a stupire gli occhi di un bambino con la meraviglia del volo e il terrore del buio

Sì, Ecco è un gioco per bambini nel senso più nobile dell’espressione ma che comporta anche un’estrema difficoltà nella realizzazione. Il fine di Ecco non è giocare. È un po’ come visitare un acquario? Sì, ma aggiunteci il mito, l’epica, il mistero, la speranza, la solitudine. L’arte insomma. Non c’è nemico o amico che non sia meraviglioso da guardare o con cui non sia rilassante nuotare liberamente. C’è una cura nel disegno e nelle animazioni tutta votata al realismo, tratto tipico del modo occidentale di punteggiare l’immagine bitmap e non solo.

Durante i decenni in cui la pixel art si chiamava semplicemente “grafica”, non troverete nessun gioco che presenta un catalogo tanto variegato di colori, gradienti e disegni per rappresentare l’oceano in tutta la sua etimologia mitologica, che emergere attraverso parole suggestive a schermo, quando il sonar rimbalza su misteriose pietre guida azzurre. Le immagini che ho selezionato, tagliato e cucito possano valere da buona argomentazione. 

Così mi sono d’improvviso ritrovato in quel mare, ancora una volta. Ancora una notte di pioggia. Leggere Ecco the Dolphin significa confrontarsi con il tema della frantumazione dell’io, della società, della conoscenza e in fondo delle certezze antiche che non basta studiare, vanno riconquistate generazione dopo generazione.

Ettore Annunziata fa della frantumazione una cifra stilistica che si moltiplica in un level design labirintico e costantemente interrotto, in una successione a bivi su 27 livelli senza bussole; la frantumazione è persino nelle transizioni dei font che sembrano scomporsi come bolle d’ossigeno sott’acqua; anche la musica, curatissima, spazzola nella modulazione di frequenza dello Yamaha YM2612 sospesa tra bassi profondissimi e guizzi cristallini al limite del richiamo. Si avvertono ritmi e ritorni dei sonar insieme alla pesantezza di tonnellate di acqua sopra la tesa

Ascoltate questa traccia di Spencer Nilsen e rileggete le ultime frasi, tutto si farà più liquido: “Sea of Darkness” dal secondo episodio The Tides of Time.

Ma quindi la musica è importante in un videogioco che fa della rappresentazione ambientale la sua funzione dominante? 

No. 
È tutto
.

La trama poi ci parla di un mondo interrotto, spezzato da un’antica e ricorrente catastrofe, frantumato fin nella dimensione temporale che va ricucita attraverso letterali viaggi nel tempo, dove l’estinto diventa più pericoloso di chi ha superato le prove evolutive.  

Glaciazioni, vulcani e oceani di colori dimenticati ci raccontano un tempo cronologico, che percorriamo avanti e indietro per ritrovare l’eidos, il tempo ideale dei grandi ed eterni cetacei: improvvisi ci sorprendono dopo decine di ore di buio e solitudine. 

Nessuno mi credeva da bambino e mi presero tutti in giro, ma io avevo veramente parlato con un enorme balena azzurra insieme ad Ecco.

Disegno ambientale e sottofondo musicale raccontano un’esperienza meditativa che è stata d’ispirazione per tanti videogiochi successivi come Vib-Ribbon (PS1, NanaOn-Sha, 1999), Electroplankton (NDS, Indies Zero, 2005), Osmos (PC, Hemisphere Games, 2009) e sicuramente molti altri che potete scrivermi nei commenti. 

Siamo, come è evidente, lontani dai riflettori pop dei grandi successi commerciali. Ma del resto se siete giunti fin qui a leggere fate pienamente parte di quella nicchia che può solo amare questo strano modo di comunicare attraverso un videogioco.

Vi lascio con due ultime immagini, che meritano particolare attenzione. Tutte e due raffigurano due pericolosi nemici presenti nel gioco. Eppure guadateli quanto sono eleganti. La piovra, quasi barocca nelle sue spire ma estremamente equilibrata come un Laooconte; il cavalluccio marino imperturbabile nella sua postura severa, sebbene generi, quando ferito, una prole di piccoli pesci anch’essi finemente rappresentati. Questo è forse uno degli esempi più chiari di questa tecnica narrativa ambientale che, come visitando un acquario o visionando un documentario, propone un percorso che vuole meravigliare e quindi sensibilizzare i giovani giocatori dei primi anni ’90. 

Davanti a questi due esempi 30 anni fa si rimaneva a bocca aperta per lo stupore, ma oggi? Basta una semplice remastered? Con il fine dichiarato di ottenere il medesimo effetto, come traduco la potenza di quel dither, che colora la testa del polpo, soprattutto senza l’impasto visivo di un CRT che rende umido e cangiante il mollusco? Socchiudete gli occhi osservando le immagini; è un ottimo trucco per apprezzare l’effetto ricercato da quel particolare tipo di pixel art pensata e disegnata per una fruizione su tubo catodico.

Mi auguro che questa contenuta selezione fotografica possa far capire quanti dubbi siano sorti nella mia mente il giorno dell’annuncio di una remastered, sia per quanto riguarda la ricezione di un’opera così lontana dall’orizzonte d’attesa degli anni ’20, sia sul fronte estetico per il possibile abbandono della pixel art nel disegno. Temo fortemente che il marketing, ancora una volta, trasformi l’opera in un semplice prodotto

Liberate Zio ED! 

Lasciamoci con un ultimo interrogativo, estremamente dolce. La domanda più famosa e ricorrente all’interno de Il giovane Holden di Salinger è vicinissima alla domanda di fondo che sottende tutta l’epopea di Ecco. Sono due dubbi, apparentemente inutili o assurdi, ma talmente profondi ed esistenziali che solo i bambini o i geni proverebbero a porsi.

“Mi saprebbe dire per caso dove vanno le anatre quando il lago gela? Lo sa, per caso?  Mi chiedevo, non è che magari un tizio arriva con un camion e le porta in uno zoo o qualcosa di simile? O magari semplicemente volano via.” 

“Ecco sa che i delfini non possono respirare sott’acqua; a differenza di pesci e coralli che stanno sempre al sicuro sotto le onde, la specie di Ecco ha bisogno di aria. Perché? Questo era proprio un bel enigma ed Ecco voleva a tutti i costi conoscere la risposta.”

Diamoci un appuntamento di quelli impossibili, come per gli amori estivi nell’epoca dei telefoni fissi: ci ritroviamo qui tra un anno per capire insieme se ha ancora senso un ritorno di Ecco. Facciamoci questa promessa sulle cinque stelle che formano la costellazione del delfino sulla fronte di Ecco. In fondo per tutto il gioco non fai altro che ricostruire da zero una comunità perduta. 

Siamo animali sociali e siamo finalmente pronti a varcare questo oceano, senza più far senza.

“E gli equipaggi del pacifico lo dicono già da un'era 
che chi regna incontrastato in cielo, in terra non si rivela. 
E per un albatro se il vento tira ai lati è già primavera, 
perché sull'albero della nave è già fiorita la prima vela.”

A cura di
RetroBigini

Pubblicato il: 03/06/2025

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9 commenti

Ricordo benissimo le sensazioni di impotenza, frustrazione e fascino da bambino. Quella musica era al tempo stesso attraente e spaventosa.
E la cosa più brutta del gioco era dover spingere i cristalli in giro per la mappa, era difficile perché cad …Altro...
Ricordo benissimo le sensazioni di impotenza, frustrazione e fascino da bambino. Quella musica era al tempo stesso attraente e spaventosa.
E la cosa più brutta del gioco era dover spingere i cristalli in giro per la mappa, era difficile perché cadevano e non si riusciva a fare bene. Come quando si scorta un NPC. Che è la cosa più noiosa nei videogame.
L'articolo è molto bello, ma non so se il gioco, oltre ai ricordi, meriti molto nella giocabilità. Nell'ambientazione sì, così come nella presentazione, nelle musiche e nella grafica. Ma la giocabilità è fuori.

i tuoi screenshot ogni volta mi toccano il cuore, perché si nota che non fotografi una scena solo per l'impatto visivo in sé, dietro c'è sempre un significato, un concetto profondo, del quale si potrebbe parlare per ore e ore.

Se ci fossi stato anche io, avremmo parlato in due con quella balena❤️

Il buon Retrobigini ci offre una lettura originale e profonda di Ecco the Dolphin, ci invita a
riscoprire il gioco non solo come un’esperienza videogiocosa, ma come un’opera d’arte che stimola riflessioni personali e collettive.

Faccio parte anche di quella schiera di giovani giocatori che abbandonarono il titolo per la sua difficoltà, oggi a quel ragazzino direi di godersi di più il viaggio. Grazie RetroBigini che mi hai riportato in quel mondo sottomarino mozzafiato, res …Altro... Faccio parte anche di quella schiera di giovani giocatori che abbandonarono il titolo per la sua difficoltà, oggi a quel ragazzino direi di godersi di più il viaggio. Grazie RetroBigini che mi hai riportato in quel mondo sottomarino mozzafiato, reso con una pixel art che ancora oggi incanta.

In un oceano di vuote parole, Ecco io seguo un eco familiare.
La tua può non essere una stanza ordinata, ma offre l'accogliente e creativo calore di un luogo nel quale voglio stare.

Ero decisamente troppo piccolo per poter affrontare quel gioco, al punto che arrivai ad odiarlo... Poi crescendo pensai di aver perso qualcosa, e a quanto pare me ne stai dando conferma 😢
Con la vita frenetica che sto vivendo non credo di riuscir …Altro...
Ero decisamente troppo piccolo per poter affrontare quel gioco, al punto che arrivai ad odiarlo... Poi crescendo pensai di aver perso qualcosa, e a quanto pare me ne stai dando conferma 😢
Con la vita frenetica che sto vivendo non credo di riuscire a godermelo, aspetterò ancora in po' prima di dargli un'altra chance

Ricordo ancora nel '92 l'allora me dodicenne che rimase letteralmente sbalordito dai colori e dall'originalità di questo strano titolo... Esplorare l'oceano era un qualcosa di unico e affascinante, ma allo stesso tempo la paura era onnipresente e la …Altro... Ricordo ancora nel '92 l'allora me dodicenne che rimase letteralmente sbalordito dai colori e dall'originalità di questo strano titolo... Esplorare l'oceano era un qualcosa di unico e affascinante, ma allo stesso tempo la paura era onnipresente e la percezione di una minaccia era in ogni angolo, complice anche l'altissima difficoltà del gioco (avevo inoltre 12 anni e non avevo l'esperienza di oggi). Nonostante non vidi mai i titoli di coda, lo ricordo ancora come uno dei videogiochi più significativi di quegli anni per il SEGA Mega Drive, oltre ad uno dei miei preferiti di sempre... E' un mio pensiero, ma se dovessi paragonare un gioco di oggi a Ecco The Dolphin per quanto riguarda le sensazioni di mistero e di angoscia e per narrazione ambientale all'interno di un mondo alieno da esplorare, forse direi Death Stranding...

Ho provato a giocare Ecco, purtroppo solo con save state a tamburo battente, sono arrivata ad un buon punto, però non riesco a finirlo, è veramente molto difficile. È una poesia, e forse se non lo finisco è meglio, non vedo la fine del gioco e po …Altro... Ho provato a giocare Ecco, purtroppo solo con save state a tamburo battente, sono arrivata ad un buon punto, però non riesco a finirlo, è veramente molto difficile. È una poesia, e forse se non lo finisco è meglio, non vedo la fine del gioco e posso immaginarmi tanti finali diversi. Così la poesia non finisce!

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